Our Dream

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  1. R!ot girl;
     
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    Titolo: Our Dream - Sognando il palcoscenico
    Autore (con riferimento profilo): R!ot Girl;
    (con riferimento profilo s'intende che devo mettere il link del mio profilo utente giusto?)

    Qui di seguito posto i primi tre capitoli, perchè è dal terzo che comincia ad ingranare la storia. Sono un tantinello lunghi, non uccidetemi xD
    L'ho scritta parecchio tempo fa, quindi a dire il vero non mi stupisce che non venga seguita. L'ho modificata recentemente, ma non è servito a nulla. Mi dispiace, perchè ci sono affezionata dato che è la prima storia che ho scritto. E i personaggi sono come dei figli per me xD
    Anyway. buon lavoro e buona lettura^^

    Capitolo 1
    Guai



    Macchina. Finestrino abbassato. Musica che mi accompagnava e occhi persi tra le nuvole che si muovevano piano. È in questi momenti forse che le persone piangono. Quando vengono strappati via dalla loro vita e catapultati in un'altra, totalmente diversa. Ma non io.
    Io in un college. Anche solo “io in una scuola” farebbe ridere. Non mi fraintendete, mi piace studiare, per quanto incredibile possa suonare. Il fatto è che non sono un tipo molto socievole, e difficilmente ho trovato persone con cui fare una conversazione decente. So essere difficile ed esigente.
    La maggior parte delle ragazze della mia età pensa a cose inutili, e ha una mentalità che io ritengo infantile. Forse dipenderà dal fatto che preferisco di gran lunga andare sullo skate invece che passare ore a fare shopping.
    Gli unici amici che avevo erano un gruppo di break dancer, a cui ogni tanto mi univo. A volte improvvisavamo anche qualche cover, ed era lì che esibivo al meglio tutta me stessa.
    Il mio concetto di amicizia è diverso dal solito. Per me amicizia non vuol dire solo lealtà, comprensione, essere presente e di conforto nei momenti difficili. Anzi, non volevo che qualcuno mi vedesse in qui momenti.
    Per me amicizia vuol dire fiducia. E difficilmente riuscivo a fidarmi di qualcuno, perciò non avevo veri amici. Solo quel paio di ragazzi con cui mi esibivo riuscivano a trasmettermi fiducia.
    Non avevo mai fatto danza e non avevo mai frequentato una lezione di canto. Ero “autodidatta”, come diceva sempre mia madre, quando era ancora viva. Prima che se ne andasse, mi aveva proposto più volte di andare in un college come quello in cui ero diretta, e più volte avevo rifiutato.
    Poi successe che mio padre si risposò e mi capitò una bastarda come matrigna e una sorellastra ancora più malefica. La mia vita andò a rotoli in poco tempo. La nuova mammina pensò bene di proibirmi di andare fuori e divertirmi in quello che amavo sempre di più. Il che mi costringeva ad uscire di nascosto, violando tutte le regole. Mio padre non ha mai replicato, quando lei mi metteva in castigo, e io puntualmente uscivo di soppiatto dalla finestra della mia camera, ottenendo solo altre inutili punizioni e divieti.
    Odiavo Rebecca, quella stronza trentenne che si ostinava ancora a vestirsi come un’adolescente.
    Crescere non era pensabile, per una come lei. E la mia adorabilissima sorellastra aveva imboccato la stessa strada di “Reb” - così si faceva chiamare. Si vestiva in un modo tutto suo, con un trucco così pesante da farla sembrare volgare. In realtà era una ragazzina tanto dolce - con tutti tranne che con me, ovviamente. Ma era comprensibile, dal momento che ero contro sua madre e le sue stupide regole. Odiavo le regole. Tanto quanto odiavo Rebecca.
    Perciò mi aggrappai all’unica chance che avevo: andare a studiare in uno di quei college che la mamma mi aveva proposto. L’idea non mi entusiasmava poi così tanto, ma era sicuramente più accettabile che vivere con quella detta-regole-a-piacimento.
    E fu così che arrivai al dodici settembre, il mio primo giorno di scuola nell’accademia Hayes. Dagli alberi, sempre più fitti, constatai che il posto era immerso nel verde, e c’erano grandi campi di basket e di calcio, vicino a quel grande edificio, che doveva essere la scuola di per sé. Accanto, altri sei edifici più piccoli, tre a destra e tre a sinistra, erano disposti in modo da formare un semicerchio. Dovevano essere i dormitori. In uno di quelli c’era la mia nuova stanza.
    Tutti gli edifici era bianchi-grigi, tranne il più imponente, più scuro. Tutto era contornato da giardini, aiuole e una grande fontana al centro. Nel complesso, la scuola era carina.
    Di ragazzi ce n’erano anche troppi: chi improvvisava qualche passo di danza, chi chiacchierava, chi leggeva…
    Quanto l’auto si fermò, deglutii e scesi lentamente, cercando di farmi coraggio. Mio padre mi raggiunse e mise una mano sulla mia spalla. Non c’eravamo rivolti una parola per tutto il viaggio, ma era ora di farlo, visto che eravamo arrivati.
    «Sei ancora in tempo», disse lui. Si morse il labbro, trattenendo le lacrime a stento. Mio padre, a differenza di mia madre, o di me, era sempre stato un tipo emotivo. Fin troppo emotivo.
    Cosa ci trovasse in quella Rebecca, non l’ho mai capito, né ho mai cercato di capirlo. La mamma era completamente diversa, e non capisco perché dopo la sua morte ha dovuto per forza risposarsi. Io non gli bastavo?
    «La mia valigia?» chiesi, senza guardalo negli occhi. Erano fissi sui ragazzi che camminavano disinvolti. I miei occhi verdi acqua e indagatori scrutavano imperterriti nella speranza di qualche volto che richiamasse la mia attenzione. Ma fino a quel momento, solo visi anonimi, che non dicevano nulla.
    «Eccola.» Presi la valigia dalle sue mani, e mi portai lo zainetto nero sulla spalla destra, per reggerla con entrambe le mani.
    «Sei proprio sicura…forse dovresti» cominciò, ma lo interruppi immediatamente.
    «Pà, lo sai che non posso più stare a casa» tagliai corto. Non gli avevo mai nascosto la mia antipatia verso Rebecca, nemmeno i primi tempi, quando lo vedevo tornare a casa alle tre euforico dopo una delle sue serate con lei, quando era ancora allo stadio “frequento una nuova donna”. E ha sempre interpretato il mio comportamento come tipico di un’adolescente. La verità è che ero contenta che lui avesse di nuovo qualcuno. Tutte, ma non lei. Era questa la mia condizione. Proposta respinta, purtroppo.
    «Devo. È meglio per tutti. Vedrai che a casa ci sarà più tranquillità, se non ci sono.»
    «Ti voglio bene» sussurrò stringendomi in un abbraccio. Sentivo il cuore farmi male, era come se lo stessi abbandonando. Ma lo facevo anche per il suo bene, oltre che per il mio. Prima o poi l’avrebbe capito.
    «Ti accompagno», annunciò, alla fine. Evidentemente, non riusciva a lasciarmi andare. Prese la valigia dalle mie mani e andammo verso l’edificio più grande.
    Passammo accanto a un gruppo di ragazzi che mi guardarono con aria curiosa. Abbassai lo sguardo. Volevo seppellirmi. Ero il nuovo arrivo in una scuola completamente nuova. E tutti avrebbero sparlato di me, di sicuro.
    Il mio radar captò un segnale proprio dietro quei ragazzi. Il mio sguardo si posò su di un ragazzo. L’unico che non mi guardava. Aveva i capelli castani, quasi rossi, e stava seduto su un muretto con due quaderni aperti davanti a sé. Non so per quale motivo attirò la mia attenzione, non faceva gran che di speciale. Stava semplicemente copiando qualcosa, molto probabilmente i compiti per le vacanze che non aveva fatto. Lo vedevo solamente di profilo, ma potevo dire con una certa sicurezza che era un bel ragazzo. Mi soffermai a guardarlo forse un po’ troppo, perché quando alzò lo sguardo dal quaderno, i nostri occhi s’incontrarono. Istintivamente mi girai verso mio padre, ma era difficile non prestare attenzione alla scena che mi si presentò davanti pochi secondi dopo: una ragazza dai capelli corti e biondi gli andò sparata vicino. Le miei orecchie non poterono fare a meno di sentire la conversazione.
    Non riuscii a sentire quello che bisbigliò all’inizio la ragazza, ma quando alzò la voce mi fu impossibile non sentire.
    «Neanche un po’! impossibile! Non mentirmi, sei solo ridicolo!»
    «Già. Ma mai quanto te, Ele.» Replicò il ragazzo, alzando gli occhi verso di lei. «Ora devo proprio andare…» la liquidò, chiudendo i quaderni e mettendoli nello zaino.
    La ragazza, rossa in volto, lo fissò mentre lui si faceva largo dandogli una leggera spallata.
    Di nuovo quel ragazzo mi guardò. Mi girai dalla parte opposta, sentendo un rumore sordo.
    I miei occhi furono catturati una splendida macchina appena arrivata. E non fui l’unica. Anche altri studenti come me rimasero affascinati. Uscì di corsa dall’auto una ragazza dai boccoli lunghi e mossi.
    Salutò suo padre e si avviò verso l’entrata della scuola. Si poteva vedere chiaramente che anche per lei era il primo giorno, dato che si guardava intorno con aria spaesata.
    Valutai se potesse essere una potenziale amicizia.
    Nah.
    Minigonna rosa e camicia bianca a fiori rosa della stessa tonalità della gonna, con sandali bianchi e borsetta abbinata. Non era proprio il genere di persone che frequentavo, o che avevo intenzione di frequentare.
    Mentre continuavo a fissare la macchina, andai a sbattere contro qualcosa. Un palo, di sicuro.
    Andiamo bene, nemmeno qualche secondo qui dentro e già la prima figura di merda. Speriamo che non se n’è accorto nessuno…
    Quando alzai lo sguardo constatai che ero andata addosso non a qualcosa, bensì a qualcuno. E questo qualcuno era un vero armadio. Deglutii, e a occhi sbarrati arretrai lentamente, facendo attenzione a non andare addosso a nessun altro.
    «Scusami…» balbettai. Gli occhi arrabbiati dell’armadio vivente non promettevano niente di buono.
    Questo era quello che si intendeva per “iniziare col piede giusto”? Iniziavo a pensare che la sfiga mi perseguitasse…
    «Ehi, ragazzina, guai a te se lo rifai, chiaro? Sennò…»
    Alzò il pugno, per tirarmelo in faccia. D’istinto mi coprii il viso. Un occhio nero il primo giorno di scuola. Un record.
    «Sennò che fai?»
    Il tipo si girò di botto. Allargai le dita delle mani, che ancora mi coprivano la faccia, abbastanza da vedere chi era stato impietosito così tanto da prendere le mie difese.
    Con mia sorpresa, fu il ragazzo che poco prima aveva attirato la mia attenzione. Si avvicinò senza paura, al ragazzo-armadio.
    Il mio primo pensiero fu “perché mi difende? Vuole anche lui un occhi nero per caso?”
    Si mise davanti a me, a un millimetro dal tipo che avevo urtato. Era molto più basso del ragazzo e molto meno robusto. Eppure non aveva paura di lui.
    «Adesso te la prendi anche con le ragazze, Johnny?»
    Johnny. L’armadio si chiama Johnny. Ricordatelo.
    Fotografai la sua faccia e la misi nello scomparto “tipi da evitare” del mio cervello. Era corta, la lista delle persone che dovevo evitare. Per ora erano due: lui e Rebecca. E speravo di non doverne aggiungere altri, almeno non nel corso della giornata.
    Bastarono quelle parole, perché il ragazzone mi lasciò stare. Prima guardò lui, poi lanciò una pessima occhiata anche a me. I suoi occhi neri mettevano a disagio.
    «Per oggi ti è andata bene, ragazzina. E tu, vedi di non immischiarti più, chiaro?»
    E, sbuffando, se ne andò, lanciando un’ultima occhiataccia al mio salvatore, che ricambiò senza paura. Mi sistemai lo zaino in spalla, che ne frattempo era caduto a terra.
    «Tutto a posto?» domandò il ragazzo, quando Johnny sparì tra la folla di studenti.
    «Sì, tutto ok, grazie mille.»
    «Dopo un po’ non ti prendono più come un bersaglio, tranquilla>> continuò quel ragazzo tanto gentile, offrendomi un sorriso che mi tr4asmise sicurezza. «Si sta anche bene se vuoi, in questa scuola.»
    «Ne dubito.»
    Mio padre mi chiamò. Lo salutai con un cenno della mano, mentre correvo via.

    I miei pensieri ormai scorrevano da soli, senza sosta.
    Ricapitolando: in due secondi che sei qui ti sei già fatta un nemico e un conoscente. Se non un amico. Beh,no, non proprio un amico. E come si chiama? Merda, non gliel’ho chiesto…
    Arrivai dove mi aspettava mio padre, che mi presentò una ragazza. Cominciò a parlare senza sosta, senza mai fare un pausa.
    Sentii pochissimo delle cose che mi disse… parole buttate lì, per me senza un senso. Un numero, il “281”, poi la parola “regole” ripetuta chissà quante volte.
    Non colsi una frase intera di quello che diceva. Tanto sapevo benissimo che tutto quello che diceva era perfettamente inutile. Le solite regole, valide in ogni scuola. Ancora, ancora regole.
    «…Se ti serve qualcosa io sono sempre qui… tutto chiaro?»
    Mi fissò per un attimo. Mentii e feci cenno di sì con la testa. Indicò una pila di libri, quelli che sarebbero stati i miei libri per il resto dell’anno. Mio padre mi precedette, e li prese tra le mani. La ragazza mi diede anche una chiave piccola, quella del mio armadietto forse, e un’altra chiave più grande, entrambe con il numero 281.
    Ci spedì verso uno degli edifici grigio chiaro, il più lontano da quello principale, sulla destra.
    Non fu tanto difficile trovare la mia stanza. Era la primo piano del dormitorio. Era tutto spazioso e confortevole e tirai un sospiro di sollievo, visto che almeno la mia scelta era caduta su una scuola come si deve. Feci un rapido calcolo. Nel dormitorio c’erano tre piani, e dedussi che era così per ogni edificio. Ogni piano aveva circa quaranta stanze. La mia stanza era al secondo piano, molto vicina alle scale. Salii in fretta, fino a vedere finalmente il numero “281” in bella vista sulla porta di una stanza. Quella che sarebbe stata la mia.
    Mio padre era sempre vicino a me, e non dava cenni di volersene andare.
    Arrivata davanti la mia stanza, mi voltai verso di lui. Mi diede tutti i libri e mi baciò sulla fronte.
    «Ti chiamo appena arriviamo a casa», mi promise, prima di andarsene.
    Quando lo vidi sparire, mentre scendeva le scale, feci un respiro profondo. Ero rimasta sola.
    Notai la mia valigia poggiata vicino alla porta. Le presi con la mano libera e le portai nella mia camera. Buttai la pila di libri sulla scrivania, la valigia accanto al letto. Fissai per un momento quella che sarebbe stata la mia camera: era terribilmente piccola, ma carina. Il letto era attaccato alla parete in fondo alla stanza, un po’ ingiallita; la scrivania in legno alla mia sinistra; un piccolo armadio di un legno leggermente più scuro a destra. In un certo senso, mi piaceva. Mi affacciai alla finestra, l’unica della stanza, ma molto grande, proprio vicino al mio nuovo letto.
    Altri studenti stavano arrivando. Pensai un momento se scendere al piano di sotto, comune a tutti gli studenti del dormitorio, ma poi scartai questa possibilità: non avevo voglia di indossare l’ennesimo sorriso forzato.
    Mi buttai sul letto e chiusi gli occhi per un istante.
    Li riaprii solo quando sentii dei rumori. Mi alzai di scatto e andai a vedere.
    Affacciata sul corridoio, vidi una ragazza, o meglio, la ragazza con i capelli biondi che avevo visto scendere dalla macchina vistosa.
    Era alle prese con le sue valigie, palesemente in difficoltà. Chiusi la porta della mia camera dietro di me.
    «Vuoi una mano?» gli chiesi, vedendo che fatica faceva per portare le sue valigie nella stanza accanto alla mia. A differenza di me, che ne avevo solo una, mi accorsi che ne aveva quattro, grosse almeno il doppio della mia.
    «Grazie, mi faresti un gran favore…» Mi diede una delle due valigie che aveva tra le mani. Erano davvero pesanti.
    Posammo entrambe le valigie vicino al letto. La disposizione dei mobili era simile a quella della mia camera.
    «Che idiota che sono!», rise prima di continuare, «Non mi sono presentata!» Mi porse la mano, sorridendo. «Piacere, sono Angela Reali. Ma chiamami pure Angy.»
    Esitai, poi strinsi la sua mano. «Talitha.» Cercai di sorridere anche io, e cercai di non farlo sembrare un sorriso forzato. «Talitha Dumas.»
    Posai anche l’altra delle quattro valigie, tutte rigorosamente rosa, sul letto.
    «Se ti serve aiuto io sono nella stanza accanto…»
    Mi girai diretta verso la porta. Ma Angy mi fermò prima che potessi raggiungere la meta.
    «Ehi, Thai, fermati! Rimani, no? Ho bisogno di aiuto per disfare i bagagli!»
    Sulle prime avrei voluto rispondergli “Dovrei disfarli anch’io, devo andare” ma alla fine decisi di rimanere. E, poi…Thai? Da dove gli era uscito? Nessuno mi aveva mai chiamato Thai prima d’ora…ero Talitha, semplicemente Talitha. Il mio nome era già abbastanza strano,storpiarlo poi era anche peggio, a mio parere. Evidentemente Angy non la pensava così.
    Ci volle un’intera ora prima che tutti i vestiti di Angy fossero riposti in modo ordinato, come voleva lei, nei cassetti dell’armadio. Non riuscii a tenere il conto di tutte le volte che si lamentò di quell’armadio troppo piccolo per contenere tutto: una ventina di volte? Forse anche di più.
    «Ti serve aiuto con le tue cose? Se vuoi ti posso aiutare…» si offrì, a lavoro finito.
    «No, Angy, grazie. Le mie cose sono poche, farò in fretta.»
    Uscii dalla sua stanza prima che potesse prendere l’iniziativa di autoinvitarsi in camera mia. In quel momento, anche un altro ragazzo usciva dalla sua stanza: lo stesso che solo poco prima mi aveva aiutata. Non appena mi vide, mi sorrise e mi venne incontro.
    «Beh, allora dopotutto questa scuola non è così grande. Di tanti studenti che potevano stare nel mio stesso dormitorio, sei capitata tu… posso sapere il nome della ragazza che ho salvato da un occhio nero?»
    Sfoderò un sorriso di quelli che farebbero perdere la testa. In quel momento forse stordì anche me.
    «Talitha.» Mi ripresi e riacquistai la mia sicurezza. «E io posso sapere il nome del mio salvatore?»
    «Te lo avrei detto lo stesso carina, senza che me lo chiedessi» disse con fare sfacciato. «Io sono Ivan….»
    «Red!»
    Una ragazza si avvicinò ad Ivan e gli saltò letteralmente addosso. Lui tentava invano di divincolarsi dall’abbraccio. «Mi sei mancato!» continuò a urlare.
    «Ciao.» Il suo modo di ricambiare il saluto fu un tantino freddo e distaccato.
    «Senti, che ne dici se ci vediamo dopo?» la liquidò poi, mentre mi guardava. Era un mago nel liberarsi delle persone.
    La ragazza annuì come se niente fosse e corse a salutare un altro paio di amici che avevano appena raggiunto le loro stanze.
    Rimasi perplessa: non si chiamava Ivan? Evidentemente vide la mia espressione e anticipò la risposta alla domanda che volevo fargli:
    «Sì, ecco, mi hanno storpiato il cognome, da Reed a Red e basta.» terminò la frase con uno dei suoi sorrisi mozzafiato. Di sicuro quella ragazzina urlante era una delle tante prede del “sorriso di Red”.
    Cambiò in fretta discorso. «Hai già disfatto le valigie?», mi chiese poi con aria curiosa.
    «Ehm, no, lo devo ancora fare. Ho aiutato una ragazza, nella stanza vicino alla mia fino ad ora. Ora però mi metto a lavoro.»
    «Dai, allora ti do una mano…»
    Mi trascinò fin davanti alla mia stanza. L’aprii. Lui entrò prima di me – alla faccia del “fai come se fossi a casa tua”, o in questo caso “in camera tua” – e prese la valigia posandola sul letto. La aprì, senza neanche aspettare che lo facessi io.
    «Scusa Ivan, o Red, o quello che è… non toccherebbe a me disfare la mia valigia?»
    Marcai con insistenza il “mia”, e Red si spostò per lasciarmi spazio.
    Aprii la valigia già semiaperta. E cominciai a mettere a posto i miei vestiti. Red intanto si sedette sulla sedia della mia scrivania. Non sono mai stata una tipa che parla molto, ma del resto ci eravamo appena conosciuti, cosa potevamo dirci, se non sapevamo nulla l’uno dell’altro?
    Nel suo viso però c’era curiosità, lo si vedeva lontano un miglio. Che mi volesse chiedere qualcosa? Mentre cercavo di interpretare l’espressione del suo viso, Red prese coraggio.
    «Allora… che cosa hai detto a Johnny? Non scatta con tutti, il ragazzo… perché è stato così…ecco… aggressivo con te.»
    Riposi nel cassetto l’ultima pila di magliette, poi mi girai verso di lui. «Ehi, ehi frena! Io non ho fatto nulla! Niente di niente! Ci siamo solo scontrati…ok, sono stata io ad andargli addosso, ma mica l’ho fatto apposta!»
    «Bah, strano comunque… non è che stai… che non sei simpatica alle Pinkie, vero?»
    Smisi al’istante di mettere la biancheria nel cassetto più basso dell’armadio. Chiusi la valigia e la misi vicino al letto, per farmi spazio e sedermi. Il letto era davvero comodo.
    «Ok, non riesco a seguirti. Chi sono le Pinkie?»
    Red rise, dopo si alzò per poi risedersi vicino a me. «Le Pinkie sono le ragazze più popolari di tutta la scuola. Sono tre ragazze: Barbara, Eleonora e Alessandra, sorella di Eleonora e leader del gruppo. Poi c’è Johnny, Danilo, Edoardo e Matt, altro gruppo importante che…»
    Non lo lasciai finire. «Ok, ma non capisco ugualmente. Che centro io con ‘ste persone?»
    Si strinse nelle spalle. «Ah, non lo so… chiedevo.»
    «Non conosco nessuno di quelli che hai nominato.»
    «Tranne Johnny, lui lo conosci», precisò.
    «E capirai! Preferirei non averlo conosciuto…A momenti ci stampava un pugno i faccia a tutti e due!»
    Entrambi ridacchiammo appena. Poi ricominciai a mettere a posto le mie cose.
    Se non altro, aveva rotto il ghiaccio. Parlammo ancora, o meglio, lui parlò molto io provai a star dietro a tutti i suoi discorsi. Mi parlò dei professori, della scuola, dei suoi amici… non sempre a dir la verità riuscivo a star dietro ai suoi discorsi. Più volte ho annuito senza aver ben capito cosa avesse detto.
    Mentre parlava, lo squadrai per bene - se non è chiaro, sono un tipo calcolatore e terribilmente attento ai dettagli, con un cervello che etichetta tutti e tutto.
    Non mi ero accorta di quanto fosse carino: i capelli un po’ spettinati, gli occhi verdi, ma camicia un po’ sbottonata e che metteva in risalto i pettorali. Farebbe colpo su chiunque. Però, io non subivo interamente il suo fascino. Sì, era un bel ragazzo, ma tutto qui.
    «Hai finito di mettere a posto?» domandò, facendomi quasi sobbalzare - quando squadro qualcuno, il mio cervello si mette in standby e non pensa ad altro.
    «Sì.»
    «Bene, perché servono la cena tra dieci minuti.»
    Sbuffai, al pensiero di dover mangiare anche se non ero per niente affamata. Red era sul punto di dire qualcosa, quando bussarono alla porta della mia stanza. Era Angy.
    «Ehi! Thai! Hai messo tutto a posto?», poi si accorse della presenza di Red, e corse immediatamente a presentarsi.
    «Scendete per cena?»
    Io e Red ci scambiammo un occhiata veloce. Poi risposi. «No, io non ho fame, penso di rimanere in
    Camera.» Sperai che non se la prendesse troppo.
    «Anch’io, devo ancora mettere a posto alcune cose.»
    Angy ci rimase un male, ma le durò poco, sì e no qualche secondo: subito sul suo viso le ritornò il sorriso e uscì dalla mia stanza saltellando quasi, diretta al piano di sotto. Appena chiusa la porta, anche Red si alzò.
    «Vado anche io… a dopo, Thai.»
    Si avviò verso la porta. Prima di uscire si girò verso di me, per un ultimo saluto. Sorrise e mi fece l’occhiolino, per poi chiudersi la porta alle spalle.
    Ecco, ora ci si metteva anche Red a storpiarmi il nome. E va bene, vorrà dire che da oggi in poi mi abituerò a farmi chiamare così - dopotutto, anche io avevo preso a chiamare sia lui che Angela con i loro rispettivi soprannomi.
    Mi ci volle un po’ per tornare coi piedi per terra ed accorgermi che ero rimasta sola. Bene. Non desideravo altro. Finalmente potevo godermi un po’ di tranquillità. Durò più o meno mezz’ora. Qualcuno bussò alla porta con insistenza. Red, Sicuramente.
    Mi alzai e aprii senza neanche chiedere chi fosse a rompere.
    «Ariciao!» esclamò Red, prima di entrare e buttarsi sul letto.
    «Ma sì, fa come se fosse la tua camera!» protestai. Ma il suo sorriso mi fece arrendere del tutto.
    Sospirai e mi sedetti accanto a lui. «Quel tuo sorriso è un arma…» gli feci notare.
    Per tutta risposta, mi abbagliò con uno più grande. «Già, è la mia arma segreta. È uno spasso, specie con le ragazze.
    «Wow. Magari diventerai una di quelle pop-star dal bel faccino che vanno tanto di moda adesso.»
    Red si fece serio. Si tirò su e si avvicinò a me. «No, assolutamente no! E non sono così scemo da farmi manovrare come una marionetta… la musica la scrivo da solo, grazie.»
    «Ok, ok. Capito!» Alzai le braccia in segno di resa. «Dicevo così per scherzare.»
    «Sì, lo so.» Il suo tono di voce era cambiato, si era rabbuiato in viso. Il sorriso non c’era più. «È che hai toccato un argomento delicato. Avevo una band, che ho lasciato l’anno scorso.»
    «Per colpa di qualche componente della band?»
    «Se fosse stato solo per loro sarei rimasto lo stesso… no, perché prendevano i meriti del lavoro che non era della band.»
    Mi uscì soltanto un «Ah.»
    Red sospirò. «Già…»
    Rimanemmo in silenzio per un po’. Alla fine fu lui a spezzare il silenzio, o meglio, il suo stomaco.
    «Ero venuto per chiederti se ti andava di farmi compagnia. Mi è venuta fame, a sistemare la mia roba.»
    Esitai, ma alla fine accettai. Non so perché ma il mio radar mi diceva che io e quel ragazzo avremmo potuto aiutarci a vicenda. E diventare amici.
    «Ok. Tanto prima o poi dovrò mangiare qualcosina, no?»

    La mensa era proprio a destra del “salottino-barra-ritrovo degli studenti.” Era piccola, ma ben attrezzata.
    Red mi fece strada. Prese un vassoio per lui e me ne passò uno anche a me.
    Presi insalata e della carne dall’aspetto non proprio invitante - ma ero stata abituata a molto peggio, merito di “Reb”.
    «Ehi! Thai! Red!» Angy agitava la mano per farsi notare. Era seduta in un tavolo in fondo, ed era in compagnia di una ragazza, che a giudicare dall’abbigliamento andava molto vicina ai gusti di Angy. Red andò spedito verso di loro ed io fui costretta ad imitarlo.
    «Alla fine vi è venuta fame, eh?» Fece Angy, non appena ci sedemmo. «Questa è Silvia. È anche per lei il primo anno, qui.»
    «Piacere, Talitha. Ma visto che ormai hanno preso a chiamarmi Thai, fallo anche tu.» dissi, poi comincia a tagliare la carne. Il sapore non era poi così male come pensavo.
    «Cazzo…» Red si girò immediatamente e cominciò a mangiare velocissimo.
    «Red, se ti vuoi strozzare sei sulla buona strada.» gli fece notare Angy, ridendo.
    Red alzò lo sguardo verso di lei. E sembrava per niente divertito. Sembrava avesse visto qualcuno di cui aveva paura. Davvero troppa paura. Mi voltai per vedere chi era che incuteva così tanto terrore.
    Il mio primo pensiero fu Johnny, ma di lui non c’era nemmeno l’ombra. E se ci fosse stato, l’avrei di certo visto, considerata la stazza.
    Il mio guardo si posò su tre ragazze che il mio cervello etichettò immediatamente come il pericolo numero uno, più di Johnny o di “Reb”. Non aveva mai sbagliato, e non lo fece nemmeno quella volta. Percepii che quello era soltanto l’inizio dei guai.



    Capitolo 2
    Le tre Arpie



    Continuai a fissare quelle tre ragazze. Squadrai la prima dalla testa ai piedi, e constatai che era la più innocua delle tre: era abbastanza in carne, ma senza timidezza mostrava le sue cosce paffute con una minigonna che davvero non poteva permettersi. Era ridicola. Il seno era esagerato, sicuramente non era proprio suo. L’ampia scollatura della maglietta contribuiva ad evidenziarlo. Decisamente un abbigliamento non opportuno per andare a cena in una mensa. A meno che non avesse in mente di andare in discoteca dopo aver mangiato.
    Non era molto carina. Il viso era ben truccato, ma era tondo e paffuto, incastonato da un caschetto bronzeo. Un taglio che decisamente non le donava. Andai per esclusione: doveva trattarsi di Barbara.
    La seconda ragazza era più bassa, ma molto più carina. Ricordai di averla vista litigare con Red proprio quella mattina: Eleonora.
    Era incredibilmente magra, tanto da farmi pensare che soffrisse di anoressia o comunque di qualche serio disturbo alimentare. Il suo vassoio era quasi vuoto, c’era solo una mela e una manciata d’insalata. Il viso era magro e a cuore, e i capelli biondi e lisci erano incredibilmente lucenti e ben curati. Si scostò una ciocca di capelli mentre si sedeva, in uno dei tavoli vicini all’entrata della mensa. Io riuscivo a vederle benissimo, seduta dov’ero.
    A differenza della prima ragazza, lei portava jeans a vita bassa e top, che era sì aderente, ma non la faceva sembrare volgare: d’altronde non era così “dotata” come la sua amica.
    La terza fu quella che mi sconvolse di più di tutte: non esagero nel dire che era perfetta. Lo era davvero: il viso ovale era in perfetta armonia e proporzione col naso che con la bocca rossa e carnosa, i capelli lunghissimi e biondissimi legati in una mezza-coda. Era la più alta delle tre, e aveva ai piedi solo delle ballerine dorate. Come la ragazza bionda accanto a lei, aveva poco nel vassoio. Ma era magra al punto giusto. Lei doveva essere Alessandra, di sicuro.
    Continuai a fissarle, finendo di mangiare quello che avevo nel piatto. Red era stato più veloce di me, e si stava già alzando quando mandai giù l’ultimo boccone.
    Lo bloccai mettendogli una mano sulla spalla. «Dove vai?»
    «Non voglio vederle» sussurrò, poi si bloccò.
    A quel punto era evidente che le tre ragazze fossero le Pinkie, quel gruppo di cui mi aveva ampiamente parlato Red, il gruppo più popolare, più amato e più invidiato della scuola.
    Cominciamo proprio bene. Se Red non voleva vederle voleva dire che aveva avuto a che fare con loro ed era sicuramente finita male. Se era finita.
    Ma a giudicare dallo sguardo di Red, ero più propensa nel dire che non era ancora arrivata al capolinea. Non riuscii a capire il perché. Il miei neuroni iniziarono a lavorare di fantasia senza sosta.
    Forse quella tipa magrissima…Eleonora, forse era lei la causa? Che Red avesse avuto una storia con lei, e non era durata? Che lui l’avesse lasciata? che lei…
    Non riuscivo a trovare qualcosa di più convincente, per spiegare l’astio che c’era tra le Pinkie e Red.
    Le ragazze continuavano a fissarlo - specie “miss perfezione”. Con i suoi occhi di ghiaccio quasi lo fulminava, per quanto intensamente lo guardava.
    Red si risedette lentamente accanto a me. Aveva un sguardo strano: impaurito, o forse arrabbiato, non saprei dirlo con esattezza.
    «Red, perché quelle ti fissano?» chiese Angy.
    Angy non era certo una ragazza sveglia, se se n’era davvero accorta solo ora. Red alzò leggermente lo sguardo e buttò un occhio nella direzione del tavolo dov’erano sedute le ragazze.
    Pessima idea.
    Eccola, la più alta delle tre, avvicinarsi fino al nostro tavolo e chinarsi proprio verso di lui. Red rimase immobile come paralizzato dal suo sguardo di ghiaccio.
    «Ti siamo mancate, Red?» disse, con un’ironia al limite della perfidia, mentre gli passava una mano tra i capelli. Subito li strinse e glieli tirò.
    «Ahi!» gridò Red, quando dovette tirare indietro la testa per non farsi strappare i capelli.
    Mi alzai di scatto e presi la mano della ragazza. Affondai le unghie così a fondo che fu costretta a ritrarre immediatamente la mano. Sorrisi: le mie unghie erano un’arma davvero efficace, meglio di qualsiasi coltello affilato.
    «Come ti permetti!» urlò, mentre si guardava i segni che le avevo lasciato. La voce era stridula e insopportabile.
    «Potrei dirti lo stesso» risposi tranquilla, incrociando le braccia al petto.
    «Chi saresti tu, la sua ragazza?» ribatté. Non guardava me, ma Red, con occhi indagatori. Quegli occhi azzurri erano pieni di odio.
    «No» risposi io per lui. «Ma sono una sua amica, e non permetto a nessuno di trattarlo così.» La mia voce era ferma e autoritaria.
    «Ohhh!» fece lei, portandosi le mani alla bocca. In quel momento avrei voluto schiaffeggiarla, ma non era un’idea particolarmente geniale.
    «Sentito Ele? Lei è una sua amica!» proseguì, rivolta al tavolo, dove il resto del suo gruppo era ancora seduto.
    La ragazza magra si alzò e venne verso di noi, lentamente, quasi stesse sfilando. Anche quella più in carne la raggiunse, per non perdersi nulla.
    «Da quanto è tua amica? Da dieci minuti?» Eleonora cercò inutilmente gli occhi di Red, che erano incollati al pavimento. Subiva passivamente qualsiasi provocazione, senza reagire.
    Mi guardò di sfuggita, e con occhi supplichevoli mi pregava di non rispondere alle loro domande. Mi implorava di lasciarle fare, senza reagire, come stava facendo lui.
    Mai. Non è da me. Io reagisco, l’ho sempre fatto e lo farò anche stavolta. Non permetterò alle prime ragazze che incrocio di parlarmi così.
    Continuai a guardare Ele, con aria di sfida.
    «Red, andiamo, non sarai davvero amico di questa perdente?» Continuò la ragazza, mentre cercava di mettermi in soggezione col suo sguardo profondo.
    Red non reagì nemmeno questa volta. Lo fissai, i miei occhi erano diventati piccole fessure. La rabbia cresceva, e sapevo che sarei esplosa da un momento all’altro. Strinsi i pugni e mi ostinai a non alzare le mani contro quella ragazza mingherlina.
    Prima che potessi scoppiare, mormorai un «Vaffanculo», e con una spallata molto forte, riuscii a far indietreggiare Eleonora e a farmi largo per uscire di scena.
    «Thai aspetta!» sentii la voce squillante di Angy dietro di me. Mi fermò mettendomi una mano sulla spalla. Ero appena uscita a passo spedito dalla mensa, senza nemmeno voltarmi.
    «Già mi stanno sul cazzo quelle lì» sussurrai, la mia voce era piena di odio.
    «Lasciale parlare. Silvia mi aveva già detto di loro. Sanno essere davvero perfide. Però sono popolari…»
    «’Sti cazzi! Questo non le autorizza a… a…»
    «Thai, posso parlarti?»
    Sia io che Angy lasciammo cadere la nostra conversazione non appena sentimmo la voce di Red. Era comparso accanto a noi, senza che ce ne fossimo rese conto.
    «Che c’è?» dissi in modo molto freddo e distaccato.
    Non replicò, si limitò a prendermi il braccio e trascinarmi al piano di sopra. Lasciammo Angy davanti alla porta scorrevole della mensa. Era curiosa, ma allo stesso tempo non sapeva bene cosa stesse accadendo. Erano successe parecchie cose tutte così velocemente, e facevo fatica anche io a focalizzare tutto.
    Punto uno. Avevo fatto la conoscenza delle Pinkie. Non che fosse una conoscenza di cui andarne fiera, anzi, direi che le cose erano iniziate proprio nel verso sbagliato.
    Punto due. Le Pinkie avevano già dato il loro giudizio su di me. Per loro ero una delle tante “perdenti” della scuola.
    Punto tre. Red non aveva reagito alle loro provocazioni, e questo mi aveva letteralmente mandato in tilt il cervello.
    «Perché cazzo non ti sei difeso? Quelle sono…» esplosi, appena Red chiuse la porta della sua camera.
    «Arpie? Si lo so già» sospirò, lasciandosi cadere sul letto.
    «Veramente volevo dire perfide e subdole, ma arpie mi piace di più…»
    Lo imitai, sedendomi accanto a lui. Lo fissai negli occhi verdi.
    «Semplicemente, ci ho rinunciato. Più gli tieni testa, e più hanno pane per i loro denti. Quest’anno ho pensato che magari se non gli do spago…»
    «Red, che hai combinato per farle incazzare così tanto?»
    Fece un respiro profondo, poi cominciò a raccontare. «Ele. Ero il suo ragazzo.»
    «Fammi indovinare» lo interruppi io. «L’hai lasciata e lei non te l’ha ancora perdonato.»
    «Fosse solo questo…» disse a bassa voce, sempre più triste in volto.
    «Allora cos’è?»
    «Come hai detto tu. Ho rotto con lei. Ma lei è una Pinkie. E le Pinkie non vengono mai mollate da qualcuno. Ecco il perché di tanto odio verso di me: sono il primo che ha avuto il coraggio di lasciare una di quel gruppo.»
    «Mi pare una cosa davvero stupida. È infantile.»
    Red non rispose.
    «E quindi ti hanno reso la vita un inferno da quel giorno…»
    Mi guardò con uno sguardo fulminante. «Peggio di “un inferno”. Mi hanno sabotato in tutti i modi possibili. Sanno essere meschine e ingannatrici, quando ci si mettono. E manipolano gli studenti come fossero burattini.»
    «Arpie» borbottai a denti stretti.
    «Già, Arpie con la a maiuscola. Sono come degli avvoltoi: mi tengono d’occhio, sempre, costantemente…»
    «Da quanto va avanti questa storia?»
    Mi guardò incerto. «Aprile dell’anno scorso» rispose, sbuffando. Sapeva benissimo che era davvero tanto tempo.
    Le Arpie mandavano avanti questa storia da aprile. E visto che era sopravvissuta all’estate, vuol dire che il risentimento c’è ancora. Due potevano essere i motivi: il primo era che le ragazze erano di una perfidia fuori dal comune e ci godevano a rovinare la vita alle persone. Ed quest’ipotesi era molto probabile. La seconda invece era ovvia: Ele era ancora innamorata di Red, e questa storia avrebbe avuto fine se Red fosse tornato da lei. Ma così avrebbero vinto loro, e non andava bene.
    «Ele è dimagrita troppo, quest’estate» riprese a bassa voce Red, pensieroso quasi quanto me.
    «Mmh… in effetti è un manico di scopa.»
    «Non che prima fosse chissà quanto in carne, ma ad aprile era ok. Poi ha cominciato a non mangiare… penso che abbia grossi problemi.»
    «Red, non è più problema tuo, è solo suo.»
    Red non sembrò sentire. «La sorella non l’aiuta di certo, poi. Alessandra, quella che è venuta a rompere…»
    Miss perfezione, pensai.
    «Troppo presa da sé stessa…» continuò, con lo sguardo fisso nel vuoto.
    Lo guardai, in silenzio. Studiai la sua faccia, e ci lessi esattamente ciò che temevo.
    «Tu sei ancora innamorato di Ele.»
    Red rimase in silenzio per un po’. Poi annuì, senza guardarmi in faccia.
    «Ma allora perché…»
    «È complicato» tagliò corto lui. «Non capiresti.»
    Lo sfidai. «Mettimi alla prova.»
    «Non era più la stessa Ele. Insomma, la sorella… la condiziona. Non mi è mai piaciuta Alessandra. È una persona orribile, che si diverte a rendere ridicole le persone. O sei con lei, o contro di lei. E se ti schieri contro, passi le pene dell’inferno.»
    Fece una pausa, poi alzò gli occhi verso di me. Erano diventati più scuri. E imploranti. «Ti prego, non metterti contro di lei. Lo dico per te.»
    Lo guardai con aria divertita. Poi scossi la testa. «E lasciarti da solo, in una battaglia uno contro l’arpia e la sua schiera di falsi amici? No, proprio no.»
    Red fece su sorriso storto. «Non voglio che la tua vita sia rovinata per colpa di quelle lì.»
    Mi scappò una risata, che uscì quasi isterica. «Sai perché sono venuta qui? Perché la mia matrigna mi rovinava la vita. Forse è destino che qualcuno mi metta i bastoni tra le ruote. Ma siamo in due, adesso, no?»
    Entrambi ci guardammo e ci sorridemmo. Ritrovai il sorriso mozzafiato di Red, il che era positivo.
    «È tornato il sorriso-arma!» lo canzonai puntandogli il dito contro.
    «Già. Merito tuo…» ribatté lui. Si avvicinò e mi abbracciò. Era una cosa inaspettata, ma piacevole. Sorrisi tra me e me, e mi lasciai stringere in un abbraccio delicato.
    «Posso?»
    Angy fece capolino dalla porta, e ci vide abbracciati. Istintivamente ci separammo all’istante.
    «Vieni, Angy» la invitò Red.
    «Vi ho portato il dolce» disse. Aveva tra le mani tre piattini di plastica con tre fette di torta al cioccolato.
    «Grazie Angy» esclamammo all’unisono.
    Presi uno dei piattini e diedi un morso alla torta. Era meglio di quanto pensassi. Finalmente una torta al cioccolato che sapeva di cioccolato e non terra bruciata. “Reb” era capace di bruciare qualsiasi cosa.
    Provai sollievo nel mangiare qualcosa che avesse un sapore.
    «Red, posso chiederti perché quelle tipe ti stanno così addosso?» gli domandò Angy, sedendosi per terra di fronte a noi. Mi sorprese, pensavo che per una ragazza che vestiva completamente di rosa sedersi per terra fosse ripugnante.
    Red sorrise amaramente e raccontò di nuovo a grandi linee quello che io già sapevo.
    «Contami dalla tua parte» dichiarò decisa, non appena ebbe finito.
    «Visto? Tre contro tre. Adesso siamo alla pari, direi!».
    Angy sorrise, mentre annuiva felice.
    Red invece era preoccupato. «Ragazze, grazie per l’appoggio, ma non voglio mettervi in mezzo.»
    Mi alzai in piedi. «Red, io lotterò con te, che tu lo voglia o no. Ficcatelo in quella testona vuota.»
    Lanciai un’occhiata ad Angy, che la pensava come me.
    Red gettò un’occhiataccia a me, poi ad Angy. Infine alzò le spalle. Si era arreso finalmente. «Beh, se volete rovinarvi la vita, non sarò certo io ad impedirlo.»
    «Le Arpie avranno pane per i loro denti, da adesso in poi.» annunciò Angy.
    «Ben detto, Angy!»
    Red era l’unico ad essere ancora scettico. Sapevo che per lui non era semplice da pensare. Ma le Arpie l’avrebbero pagata, adesso che non era più da solo. Una volta per tutte.

    Tornammo ognuno nelle proprie camere verso le undici. Non avevo la ben che minima voglia di dormire, ma le lezioni sarebbero iniziate lo stesso alle otto e mezza, sia che io mi fossi addormentata o meno.
    Decisi di dedicarmi un’oretta in più per aggiornare il mio quaderno su quello che era successo a cena, con una bella pagina che spiegasse in rima quanto fossero perfide le Pinkie.
    Mi addormentai verso mezzanotte e mezza, per poi svegliarmi di colpo alle sette e mezza. Mezz’ora per prepararmi e poi…
    Possibile che non riesca a trovare ‘sta cavolo di aula 50? No, dico, potevano almeno scriverci a che piano stava, su ‘sta cavolo di piantina!
    Il suono della campanella mi fece tornare coi piedi per terra alla ricerca della mia aula. Primo giorno di scuola, e per di più la materia che odiavo di più al mondo: matematica. L’ho sempre odiata con tutta me stessa. E magari è anche per questo che ero in ritardo.
    Svoltai il corridoio e finalmente vidi l’aula. Affrettai il passo, non volevo essere l’ultima a varcare la soglia. E, soprattutto, non volevo sedermi al primo banco. D’un tratto mi sentii tirare con forza. Mi girai di scatto e vidi Red che mi teneva per il braccio.
    «Ehi, dove corri?» chiese, con uno dei suoi soliti sorrisi da svenimento.
    «Aula 50. Matematica.»
    Red scosse la testa. «L’aula di matematica è la 46, quella di fisica la 50. Impara bene orario e aule, sennò qui diventi matta. Comunque, vieni, ti ho tenuto il posto…»
    Mi prese per mano e mi portò dentro l’aula 46, fino all’ultimo banco, nella fila a sinistra, vicino alla finestra. Non potevo chiedere di meglio.
    «Poi, se vuoi un consiglio, almeno durante le ore di matematica dovresti arrivare puntuale, quindi vedi di non perderti, ok?»
    «Me ne ricorderò» dissi sorridendo. «Perché solo durante le ore di mate? La prof è così fiscale che non ammette qualche minuto di ritardo?»
    Red mi diede due colpetti sulla spalla. «Oh, come si vede che non conosci la Gigante!»
    In quel momento entrò la prof. Già dal suo volto imbronciato, i suoi occhi scuri, i capelli grigi raccolti, gli occhiali spessi, il suo abbigliamento sobrio e grigio… tutto di lei non lasciava intendere niente di buono. Anzi, appena sbatté il registro sulla cattedra per farci stare zitti, capii che forse sarebbe stato peggio di quanto potevo aspettarmi.
    «Ma bene, tutti abbronzati, chissà quanto ve la sarete spassate quest’estate…»
    «Perché lei no prof?» ebbe il coraggio di chiedere Red. Lei lo fulminò con lo sguardo.
    «Bene, visto che vi siete riposati abbastanza, io direi subito di chiamare qualcuno alla lavagna, tanto per vedere se vi è rimasto qualcosa di quello che abbiamo fatto l’anno scorso.»
    Un coro di disapprovazione si alzò nella classe, ma fu subito zittito dal rumore del registro che sbatte sulla cattedra. La Gigante squadrò ogni singolo studente. Poi si fermò su di me, incuriosita.
    «Oh, ma guarda, abbiamo un nuovo volto in questa classe. Tu sei?» si sistemò gli occhiali spessi sul naso dritto e si sporse appena dalla cattedra per guardarmi meglio.
    Sfoderò un mezzo sorriso. Non so se si potesse considerare tale, più che altro sembrò un ghigno.
    «Talitha Dumas» risposi secca.
    «Bene, Talitha, benvenuta. Ora…», lo sguardo passò da me a Red, «Reed viene alla lavagna e ci fa fare un po’ di ripasso.»
    Red bisbigliò un «ci avrei giurato» e a passo lento arrancò fino alla lavagna.
    La lezione iniziò. Beh, devo dire che io in matematica me la cavo a malapena, ma forse perché non la sopporto. L’esercizio che la prof ha dato da risolvere però, era molto semplice. Finii prima di tutti, a cominciare da Red. Lui guardava la lavagna bianca, rigirandosi il pennarello tra le dita, voltandosi qualche volta per chiedere consiglio.
    La prof iniziò a spazientirsi dopo poco.
    «Insomma, qualcuno lo aiuta a rinfrescargli la memoria?»
    Red mi guardò con aria supplichevole, sussurrandomi «Help me!». Mi alzai e gli andai vicino. Lui mi diede il pennarello, e finii io l’esercizio da lui iniziato. Appena lo terminai, suonò la campanella.
    Posai il pennarello sulla cattedra, presi lo zaino e mi avviai verso la prossima aula, che a quanto diceva la mia piantina era la 44 - e fortunatamente era sullo stesso piano dell’aula di matematica, quindi ci avrei messo poco a trovarla.
    «Ehi, Thai!» urlò Red, raggiungendomi. «Beh, penso che ora siamo pari: io ho salvato te, e tu me. Che ne pensi?»
    «Penso che hai bisogno di ripetizioni, quell’esercizio era di una banalità unica. E per dirlo io, che ho sempre avuto un sei striminzito!»
    «Me le dai tu le ripetizioni allora?»
    Scoppiai a ridere. Io che do ripetizioni in matematica?
    «Ehi, Red, hai ringraziato la tua amichetta? Ti ha salvato da un due assicurato il primo giorno di scuola, poco fa.»
    Entrambi ci voltammo verso la ragazza che si era avvicinata silenziosamente. I capelli biondi, liscissimi, corti fino alle spalle, non lasciavano fraintendimenti: Eleonora. Il suo sguardo era di ghiaccio quasi quanto quello della sorella.
    «Beh, non mi presenti?» chiese con tono acido.
    «Penso che ormai vi conosciate già, non c’è bisogno delle presentazioni», ribatté Red con fare distaccato.
    L’atmosfera che si era creata era molto tesa. Sia io che la sorella dell’Arpia numero uno ci guardavamo storto, senza abbassare lo sguardo.
    Fu Red ad allentare la tensione. O almeno, ci provò. «Thai, dobbiamo andare a lezione.»
    «Sì» ribadii, senza staccare lo sguardo. «Andiamo.»
    Fui costretta a girarmi e andarmene, quando Red mi tirò insistentemente il braccio. Camminammo silenziosi fino all’aula 44. Quando entrammo andammo spediti verso l’ultimo banco accanto alla finestra.
    «Non mi avevi detto che me la sarei trovata in classe» dissi a bassa voce quando Ele entrò e si sedette al primo banco della fila opposta alla nostra.
    «Scusa. Avrei dovuto.»
    «Tu gli piaci ancora» dissi, mentre la fissavo. Stava guardando verso la nostra direzione. Sul viso c’era dipinta l’invidia. «Penso sia gelosa di me. Sono appena arrivata, e già ti sono così amica.»
    Le mie parole lo fecero arrossire. Titubante, rispose «Non m’importa. Non voglio stare con la brutta copia della sorella. L’ho lasciata solo per questo.»
    Il resto della mattinata, tra una lezione e l’altra, passò più o meno velocemente. Forse era la presenza costante di Red a rendere piacevole ogni ora di lezione. Uscendo dall’aula di biologia, sentimmo una voce familiare dietro di noi.
    «Ehi, ragazzi! Pranziamo insieme?»
    Io e Red, ormai inseparabili, visto che per mia fortuna la mattina avevo ogni lezione con lui, ci girammo al suono della voce squillante di Angy. Vicino a lei c’era anche Silvia.
    «Silvia è nella mia classe», ci informò, poi si voltò verso di lei sorridendole.
    «Ciao» salutò Silvia, molto timidamente.
    Parlammo un po’ di come avevamo passato queste ore di lezione, dei compagni, dei professori… ecco, l’argomento professori era il preferito sia di Angy che di Silvia.
    «Il professor Ranocchi è proprio affascinante»
    Subito, Angy continuò per l’amica. «Si, concordo, è stupendo!»
    Ecco, le ragazze alla fine sono fatte tutte della stessa pasta. Per fortuna io sono l’eccezione che conferma la regola. Spero.
    Io e Red storcemmo il naso, mentre ci sedevamo al tavolo per mangiare. Avevo fame, specie perché la sera precedente non avevo mangiato granché anche per colpa delle Arpie e avevo fatto colazione velocemente perché mi ero svegliata tardi.
    «Beh, non dirmi che non lo hai visto, Thai?!» mi chiese stupita Angy, e anche lo sguardo di Silvia era stupito, quasi mi fossi persa chissà cosa.
    «No, non l’ho visto, e non mi interessa» tagliai corto.
    La conversazione sul quel principe azzurro fu interrotta dall’entrata in scena delle Pinkie: come al solito, si facevano sempre notare per il loro “buon gusto nel vestire”, rigorosamente rosa. Era per questo che si facevano chiamare Pinkie.
    Eleonora accelerò il passo e sorpassò il nostro tavolo, lanciando un’occhiataccia a Red. Poi passò la seconda, l’unica a cui piacesse mangiare, visto che le altre due erano stuzzicadenti a confronto.
    Ma non reggevano il confronto, né lei né Eleonora, con quella che sicuramente spiccava di più ed era la leader del trio: Alessandra. Lei passò lentamente davanti al nostro tavolo, e storse il naso quando vide che avevo una porzione di pasta più abbondante del dovuto. Non che mi importasse di ciò che pensava quella lì.
    Appena Alessandra oltrepassò il nostro tavolo, iniziarono i commenti. Io e Red rimanemmo zitti, intenti a mangiare, mentre le ragazze scostarono il piatto e iniziarono a parlare di quanto Alessandra fosse bella e magra, di quanto fosse perfetta. Cercai invano di non prestare attenzione a ciò che stavano blaterando, ma le mie orecchie erano troppo curiose e a volte ascoltavano anche troppo.
    Alzai lo sguardo, verso i tavolo delle Pinkie, e mi accorsi che stavano parlando di me. Alessandra mi congelò con il suo sguardo pietrificante, per poi tornare a ridere con le altre due ragazze, sue complici. Di nuovo, mi fissò, accompagnata stavolta dallo sguardo di Eleonora.
    Anche Red se ne accorse. « Oh - oh…perché ti fissano?» chiese preoccupato.
    Alzai le spalle. «Problemi loro, magari sono invidiose che io qualcosa nel piatto ce l’ho, e me lo mangio pure.»
    Presi una forchettata di pasta e guardando Alessandra me la portai alla bocca.
    Probabilmente sbagliavo a scherzarci su, ma era così divertente. Al limite del lecito. Le ragazze smisero all’istante di ridere e tornarono ai loro rispettivi pranzi.
    Sul mio viso si allargò un sorriso soddisfatto.



    Capitolo 3
    Senza Fiato




    La vera tortura doveva ancora iniziare. Avevo ancora tutto un pomeriggio davanti, e ancora quattro ore di lezione da frequentare.
    Purtroppo Red non mi avrebbe fatto compagnia: i suoi orari e le sue lezioni pomeridiane non coincidevano con quelli che avevo scelto io.
    Tirai fuori la piantina della scuola da una tasca dello zainetto, e cominciai a studiarla. Red mi aveva accompagnato per le aule tutta la mattina, ma stavolta dovevo cavarmela da sola.
    La mia prima lezione di canto mi aspettava, ma non avevo idea di cosa aspettarmi.
    Cominciai a camminare spaesata per il corridoio, senza sapere dove mi trovassi.
    Alzai lo sguardo dalla cartina, e mi accorsi di essere nel posto sbagliato: su questo piano c’erano solo aule di danza. Rimasi a guardare la lezione di danza classica già iniziata. Tra le ragazze, riconobbi Silvia ed Eleonora. Avevano entrambe il body nero e i capelli raccolti in uno chignon.
    Seguii per un po’ i loro movimenti fluidi e perfetti alla sbarra. Mi concentrai di più su Eleonora che su Silvia.
    La ragazza si accorse di me, e per un istante i nostri sguardi s’incontrarono. Poi Eleonora riportò lo sguardo allo specchio davanti a sé e tornò seria e concentrata.
    Mi strinsi nelle spalle e continuai la mia ricerca.
    Adesso ero davvero in ritardo. Salii al secondo piano, sicura di essere vicina alla meta.
    Cominciai a camminare velocemente, finchè non girai l’angolo. Mi scontrai letteralmente con un altro ragazzo, che andava nella direzione opposta.
    Ma è possibile che io sia così cieca?
    «Scusa!» esclamai. I volantini dai mille colori che stava appendendo lungo il corridoio gli caddero dalle mani, sparpagliandosi attorno a noi.
    «Fa niente» rispose seccato il ragazzo, mentre si chinava per raccoglierli. Lo aiutai senza starmene con le mani in mano. Quando finimmo di raccoglierli tutti, gli diedi la parte raccolta da me.
    Il ragazzo mi guardò negli occhi. I suoi erano di una tonalità di castano scuro, quasi neri. Molto, troppo penetranti. Rimasi ipnotizzata dai suoi occhi, e non riuscii a distogliere lo sguardo finchè non parlò.
    «Grazie» disse, prima di porgermi un volantino. «Tieni.»
    Staccai gli occhi dalla bocca carnosa del ragazzo moro che avevo davanti e guardai il foglio giallo che mi stava offrendo. Ne avevo raccolti parecchi, ma non avevo fatto caso a cosa ci fosse scritto. Il miei neuroni ripresero lentamente a funzionare: si trattava di un contest tra band. Cominciava con “come sempre, anche quest’anno si terrà il Doppia B”…
    «Parteciperai?» chiese all’improvviso il ragazzo.
    Rialzai lo sguardo, incontrando di nuovo quegli occhi. Erano fissi su di me.
    «Penso di no. Non ho una band, quindi.» Alzai le spalle. La mia voce era strana ed insicura. Che mi succede?
    «Ah… Però puoi votare la band che ritieni la migliore.» Si girò verso lo zainetto nero che teneva in spalla e tirò fuori un cd.
    «Se ti va, ascoltalo. Mi chiamo Danilo, sono il chitarrista di una delle band che partecipa, i 4bidden, e nel cd c’è la canzone con cui partecipiamo. Se cambi idea e vuoi iscriverti, in bacheca c’è la lista dei partecipanti. Sei ancora in tempo.»
    Mi limitai a fare un cenno con la testa. Il ragazzo annuì a sua volta e ricominciò ad attaccare i volantini un po’ qua un po’ là sulle pareti. Si fermò di colpo al terzo, guardandomi di sfuggita. Mi accorsi anch’io in quel preciso momento che ero rimasta imbambolata a guardarlo come una povera demente.
    «Sai per caso dov’è l’aula di musica? La numero 3.»
    Danilo mi sorrise, poi puntò l’indice verso il fondo del corridoio. «In fondo a sinistra.»
    «Grazie.»
    Me ne andai prima di fare altre figuracce. Mentre percorrevo quasi correndo il corridoio, finalmente ritornai in me., la solita ragazza calcolatrice e iper-pensante di sempre.
    Non so cos’era successo. O meglio lo sapevo, ma non potevo crederci.
    Io… che mi prendo una cotta per qualcuno. Era impensabile. Eppure ero sempre più convinta che fosse l’unica opzione possibile. Il mio cervello era andato in tilt per un ragazzo.Non era mai successo prima d’ora, e mi rifiutavo di anche solo di pensare una cosa del genere. Il mio cervello in tilt per un ragazzo… ma roba da matti! È il colmo! Non è umanamente possibile, non io! Non è da me!
    Continuavo a camminare velocemente, finchè non mi trovai davanti all’aula di musica. La lezione ovviamente era iniziata da un pezzo. Mi feci coraggio e bussai.
    «Avanti!» urlò una voce conosciuta dall’altra parte della porta. Oh no, tutte ma non lei…
    Entrai titubante, e alla cattedra trovai proprio la Gigante, coi suoi occhi infuocati puntati contro. Le mie guancie presero calore, fino a diventare ardenti.
    «Bene, signorina Dumas. Finalmente ci degna della sua presenza»
    Abbassai lo sguardo, guardando di sfuggita il resto della classe. Avevo gli occhi di tutti fissi su di me.
    «C’è un posto laggiù, all’ultimo banco. Siediti lì, e cerca di prestare attenzione.»
    Allungai lo sguardo verso l’ultimo banco. Spalancai gli occhi, incapace di muovermi.
    «Sei sorda?» mi rimproverò la Gigante. «Vatti a sedere di fianco a Belfiore!»
    Deglutii e mi feci forza. Sedermi vicino ad Alessandra non era centro una cosa che avrei fatto di mia spontanea volontà.
    Alessandra mi sorrise col solito ghigno malefico. Quando finalmente la raggiunsi e mi sedetti, la lezione cominciò. Cercai di non prestare attenzione al suo sguardo di ghiaccio che mi congelava, cercavo di rimanere lucida e di seguire la lezione.
    Dopo circa mezz’ora, qualcun altro interruppe la lezione bussando insistentemente alla porta. Senza aspettare risposta, il ritardatario entrò in classe come se niente fosse.
    «Eccomi prof!»
    Il mio cuore cominciò a correre non appena mi accorsi chi era il ragazzo in questione: Danilo era nella mia stessa classe di musica!
    «Alla buon’ora! In questa classe nessuno sa il significato della parola puntualità!» si lamentò la Gigante, spostando lo sguardo verso di me.
    Sentii Alessandra soffocare a stento una risata.
    «Vatti a sedere, anche se la lezione è praticamente finita.»
    Danilo obbedì, prendendo posto nella parte opposta della classe. Non riuscivo a vederlo, dal mio banco. Ma il solo fatto che fosse nella mia classe mi aiutò a superare anche il resto dell’ora.
    Quando la campanella suonò, tirai un sospiro di sollievo. Mi alzai di scatto, ma qualcuno mi bloccò tirandomi per un braccio: Alessandra.
    «Non ti voglio nella mia classe» disse a bassa voce.
    «Non l’ho certo deciso io.»
    «Non voglio vederti qui dentro. Non m’importa come, fatti spostare da questa classe. Questo non è posto per voci di serie b.»
    Mi morsi l’interno della guancia, tanto forte da farmi male. Quando sentii il sapore del sangue, mollai la presa.
    «Vedrò cosa posso fare. Neanch’io voglio vedere la tua brutta faccia nella mia classe.»
    Con forza, mi rimpossessai del mio braccio e uscii senza degnare nessuno di uno sguardo.
    Come avrei fatto? dovevo assolutamente cambiare classe, non per Ale, ma per me stessa.
    Anche se Danilo…
    Mi scrollai dalla mente con forza il suo viso, ma senza successo.
    Non ero sicura di voler cambiare classe, ma d’altra parte non volevo nemmeno avere gli occhi freddi di Alessandra sempre addosso.
    M’incamminai fino alla segreteria della scuola, non del tutto sicura di cosa avrei fatto.
    Che avrei detto? Quali motivazioni avrei dato? Ma soprattutto: potevo davvero cambiare classe?
    Entrai titubante dove tutto era cominciato: la solita ragazza, quella che solo ieri avevo sentito parlare a macchinetta, stava mettendo a porto una pila di scartoffie.
    Avanzai di qualche passo, incerta su cosa fare.
    Sentii la porta dietro di me aprirsi di nuovo. Non feci in tempo a girarmi: il ragazzo appena entrato mi superò e si precipitò davanti alla scrivania della ragazza.
    «Devo cambiare classe. Subito.»
    La ragazza alzò lo sguardo, sorpresa. «E perché?»
    «Problemi miei» tagliò corto il ragazzo biondo e slanciato. Era molto alto, ma non quanto Danilo.
    Smettila di pensare a lui!
    «Non posso cambiare classe a qualcuno solo perché ha “problemi”.»
    Il ragazzo sbuffò, poi si sporse verso la ragazza. «Senti… Valeria.»
    Sorrisi: si era avvicinato per poter leggere il nome sulla targhetta della ragazza.
    «Devo assolutamente cambiare classe. Con la Gigante è un inferno! Non ho voglia di arrivare sempre tre quarti d’ora prima per poi starmene imbambolato un’ora a sentirla blaterare. Quindi… vorrei cambiare classe…ehm… per favore.»
    Le ultime parole le pronunciò con troppa calma e dolcezza. Si stava sforzando di sembrare calmo e gentile, quando chiaramente non lo era.
    «Anch’io vorrei cambiare classe.»
    Il ragazzo si voltò subito verso di me, puntandomi addosso i suoi occhi azzurri. Gli occhi più azzurri che abbia mai visto. Fece un mezzo sorriso, poi tornò a fissare Valeria. «Allora?»
    La ragazza si strinse nelle spalle. «Mi dispiace, ma purtroppo non ci sono altre classi in cui posso spostarvi. L’ora di musica è quella, con la Gigante come insegnante. Posso al massimo cambiarvi l’orario, se vi più essere d’aiuto.
    Qualunque cosa, basta che non abbia Alessandra in classe, mi dissi.
    «Aspetta ragazza, forse posso rimediare io…»
    Valeria alzò lo sguardo verso un punto alle mie spalle. Non avevo sentito nessun altro entrare, dopo il ragazzo biondo. Mi voltai e mi sorpresi nel vedere un’anziana signora dal viso gioioso. Mi rivolse un sorriso sincero, di quelli che ti fanno venir voglia di sorridere a tua volta.
    «Professoressa Tarta, ne è sicura?» disse Valeria, quasi sollevata.
    «Certo. Possono far lezione di musica con me, se vogliono. Ho pochi studenti quindi non sarà un problema.»
    Guardai di sfuggita il ragazzo biondo poco dietro di me. Anche lui mi guardava con occhi sospettosi e interrogativi.
    La professoressa incrociò le braccia al petto. «Ragazzi, che ne dite?»
    Titubanti, entrambi fissammo a lungo quella figura piccola e rotondetta, dai capelli chiari e tenuti fermi da un fermaglio dorato.
    «Come vi chiamate?» continuò lei, sempre col sorriso sulle labbra sottili.
    «Edoardo Manetta, prof.» disse risoluto il ragazzo che ora avevo al mio fianco.
    Non riuscii a pronunciare il mio nome con altrettanta determinazione. «Thalita Dumas.»
    La prof mi guardò con la coda dell’occhio. «Bel nome. Originale.»
    Anche il ragazzo sembrò colpito dal mio nome. Continuava a lanciarmi occhiate sfuggenti di tanto in tanto, quasi mi tenesse d’occhio.
    «Mi presento anch’io: Nadia Tarta. Ma credo che ormai i ragazzi mi conoscano come “la Tartaruga.”»
    Edoardo di fianco a me sembrò aver capito all’istante chi era. Non so per quale motivo, ma subito dopo aver sentito il suo nome, si rilassò e sul suo viso nacque un sorriso compiaciuto.
    «Allora, cosa volete fare?» ci fece pressione Valeria. Non vedeva l’ora di risolvere questa spinosa questione.
    «Vada per la Tarta» decise Edoardo. «Sono onorato di lavorare con lei.»
    Di nuovo, gettò uno sguardo verso di me.
    «Ok, va bene» conclusi io.
    Gli occhi scuri della professoressa si accesero di entusiasmo. «Perfetto! Allora a domani. Venite a trovarmi nell’aula sette di musica. Penserò io a comunicare alla Gigante questo piccolo cambiamento…»
    «Prof, mi scusi» la interruppe Edoardo. «L’aula sette non esiste. Le aule di musica sono fino alla numero tre.»
    «L’aula sette» ribadì. «Si trova sullo stesso piano delle aule di musica. Non potete sbagliarvi.» La prof si avviò verso l’uscita. Prima di andarsene, ci rivolse di nuovo uno dei suoi sorrisi solari. «A domani.»

    Avevo perso la seconda ora, ma poco importava: non mi entusiasmava per niente sedermi accanto ad Alessandra e sorbirmi la Gigante ancora una volta.
    Decisi perciò di farmi un giro della scuola, visto che non ne avevo avuto ancora l’occasione.
    «Thai, che ci fai in giro? Non hai lezione?» Angy mi fece sobbalzare. Non mi ero accorta della sua presenza acconto a me.
    «Che hai?» chiese, allarmata. «Hai una faccia! Non ti è piaciuta la lezione di canto, per caso?»
    La guardai storto. «Sai, è difficile farti piacere una lezione dove Alessandra fa da star. E dove la Gigante fa da dittatrice.» Sospirai. «Ma non è questo il problema. L’ho già risolto, quel problema.»
    «Ah, sì?» Sulla fronte di Angy comparve una piccola ruga. Se glielo avessi fatto notare avrebbe urlato di sicuro. «E cos’è allora?»
    Feci un respiro profondo. «Tu che ti sei squadrata tutti i ragazzi di qui da capo a piedi… conosci anche un tipo che si chiama Danilo? È il chitarrista di una…»
    Non mi lasciò nemmeno terminare la frase. Spalancò la bocca per lo stupore. «Tu conosci Danilo?» Evidentemente lo aveva presente. E anche molto bene. «Quel Danilo? Come… come ci sei riuscita! Quel ragazzo è un monumento di bellezza!» Cominciò a scalpitare come il suo solito.
    «Ehi, alt!» feci, alzando le mani in segno di difesa. «Io non ho detto di conoscerlo! Ti ho chiesto soltanto se lo conoscevi, di vista. Tutto qui»
    Angy fece cenno di sì ripetutamente con la testa. «Eccome se l’ho visto! Frequenta il terzo anno, è incredibilmente bravo a calcio, anche se preferisce di gran lunga cantare. E suona la chitarra da dio. Poi è bellissimo…»
    «Allora non è proprio alla mia portata» mi arresi, tirando un sospiro.
    «Scherzi? E adesso che è di nuovo sulla piazza te lo vuoi lasciar sfuggire?! No, Thai, non te lo permetto come amica!»
    Allargai le braccia. «E secondo te che dovrei fare, scusa? Mi sono bloccata non appena l’ho guardato negli occhi. Non mi ricordavo nemmeno come mi chiamavo!»
    Angy sorrise, arrossendo appena. «Il Ranocchi mi fa lo stesso effetto…»
    Ecco, sono alla fin fine come tutte le ragazze del mondo: non so se esserne sollevata o esserne disgustata.
    «Sai cosa dovresti fare?» continuò Angy. Ecco che arrivano i consigli.
    Sospirai di nuovo. «Cosa?» dissi con un tono rassegnato.
    «Cerca di farti notare…» Suggerì.
    «Fin qui cui arrivo anch’io. Il problema è: come?» dissi con aria già rassegnata. «Se mi blocco non appena mi fissa negli occhi.»
    Era incredibile: Io, proprioio, seduta su una panchina che mi faccio dare consigli da Angy. Com’ero ridotta…
    «Parlate del Doppia B.»
    «Ma se nemmeno partecipo…»
    «Non è detto.» disse Angy alzando un dito. «Le iscrizioni per quel contest non sono ancora chiuse, e io ho intenzione di partecipare. Se ti iscrivi anche tu insieme a me, avrai anche una buona scusa per chiedere informazioni eccetera al tuo principe azzurro.»
    Arricciai il naso non appena finì la frase. «Non dire più “me” e “principe azzurro” nella stessa frase, chiaro?»
    «Che vuoi fare?» mi esortò lei, senza prestare attenzione a quello che gli avevo detto.
    La studiai per capire se diceva sul serio. E a quanto pareva, era proprio così.
    «Hai intenzione di partecipare sul serio?» Angy mi stupiva ogni giorno di più.
    «Aha» fece Angy, sorridendo e annuendo. «Io suono la batteria. Però non posso certo partecipare da sola. Se tu partecipi con me, io aiuto te e tu aiuti me. Favore per favore. Ci stai?»
    «Wow. Non avrei mai detto, che tu fossi una batterista…» dissi, poco convinta.
    «Te lo giuro! Suono la batteria da quando avevo dieci anni. E me la cavo anche.» Terminò la frase con una delle sue facce sfacciatamente sicure di sé. «Allora?»
    Riflettei un momento, poi annuii. «Ok, io canto e tu suoni la batteria. Ma tu che ci guadagni?»
    Angy sorrise. «Popolarità.»
    «Ah, ok. Ma ci serve almeno una chitarra… sennò ci sarà da ridere!»
    Ma sia io che lei sapevamo bene a chi rivolgerci. «Red» confermammo all’unisono la nostra idea.
    «Già. Così siamo in tre. Quindi si può partecipare eccome! L’ideale sarebbe trovare un bassista o almeno un’altra chitarra, ma quello lo faremo dopo.»
    «Non conosco nessuno che suoni il basso.» A dirla tutta, non conoscevo altri oltre Angy, Red e Silvia.
    Angy mi fece l’occhiolino. «Lo troveremo, tranquilla. Ora dobbiamo andare da Red.»
    Sapevamo dove trovarlo: Red come al solito era in camera sua, intento a suonare la chitarra. Poco prima che noi bussassimo, l’aveva già messa via.
    Angy non aspettò che Red le rispondesse. Andò dritta al dunque, sfoggiando uno dei suoi grandi sorrisi da finta ragazza angelica. «Red, proposta indecente. Ti va di farci da chitarrista?»
    Quello che non aveva previsto era che Red dicesse no. Alzò lo sguardo e pronunciò quel «no» con lo sguardo fisso su una crepa del soffitto.
    Ma Angy non si lasciava certo frenare da un misero no. «Perché? Sarebbe bello! Partecipiamo tutti e tre al Doppia B, non sarebbe fantastico?»
    Il viso di Red si indurì. «Non conosci il significato di un “no”? Non suonerò con voi. Fine della storia» ribadì Red, irremovibile dalla sua decisione.
    «E dai! Angy ha bisogno di un chitarrista!» Cercai di fargli cambiare idea, ma non ero certo brava nel condizionare le persone. E poi ero del parere che se una persona aveva detto no, aveva i suoi motivi e non erano certo affar mio.
    «Ce ne sono parecchi di chitarristi, nella scuola. Perché proprio io?»
    «Perché sì» ribatté Angy, più dura del solito. Aveva preso davvero sul serio questa storia del Doppia B.
    «Ci serve un chitarrista. E tu…» continuai, ma Red mi bloccò
    «Non mi avete mai sentito suonare. Che ne sapete se sono all’altezza o no?»
    Angy fece un sorriso storto. «Eri nei 4bidden l’anno scorso. Avevi il posto di Danilo. E quella band va davvero forte. Quindi se tu eri nella band vuol dire che sei più che semplicemente “all’altezza”.»
    Rimasi di sasso quando Angy pronunciò il nome della band. Red ne aveva fatto parte davvero? Non me ne aveva parlato…
    Red spalancò gli occhi, sorpreso. Poi riabbassò lo sguardo. «Mi hanno rimpiazzato, questo non lo sai?» La voce di Red era diventata roca. Deglutì a fatica.
    «Sì, ma il perché è discutibile. Guarda caso, pochi giorni dopo che hai mollato Eleonora. Ridicolo. Tu sei perfetto, sei quello di cui abbiamo bisogno io e Thai. Quando lo capirai facci un fischio. Sempre che non abbia trovato già qualcun altro.»
    Angy uscì dalla stanza di Red a passo deciso, sbattendosi la porta dietro le spalle. Io rimasi a fissare Red, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza fino a posarsi sulla custodia della sua chitarra.
    «Mi hai mentito. Avevi detto che te n’eri andato tu, non che ti avevano cacciato…» il suono della mia voce era calmo ma glaciale.
    «Ho promesso a me stesso che non avrei più fatto parte di nessun altra band. Ci sono stato troppo male, quando perfino i miei migliori amici mi hanno voltato le spalle. Non voglio che riaccada mai più» spiegò, con un filo di voce.
    Feci due passi verso di lui. «Red, è chiaro che ne hai passate di tutti i colori, da Aprile dello scorso anno. E non ti do torto se non vuoi più rimanere scottato. Ma se permetti, io ed Angy non siamo i 4bidden, o le Pinkie. E detto onestamente, non credo che vinceremo il Doppia B. Però sarebbe bello tentare. Io voglio te come chitarrista perché sei mio amico, non perché sei bravo - anche se secondo me lo sei davvero.»
    Red fece un lungo respiro. Poi si lasciò cadere sul letto, affondando il viso nel cuscino. «Vi farò sapere.»
    «Entro domani» replicai secca. «Dopodiché comincerò a cercare un altro chitarrista. E tra l’altro… conosci un bassista per caso?»
    Fece cenno di no.
    «Mmh… ok. A domani allora.»
    Feci per andarmene, quando Red mi fermò.
    «Thai» sussurrò.
    «Sì?» Mi girai verso di lui e notai gli occhi lucidi.
    «Danilo è un bastardo. È lui che mi ha fottuto il posto nella band. Io me ne sono dovuto andare perché ormai non c’entravo più niente. Non mi hanno cacciato letteralmente, perché alla fine sono stato io a dire “basta”. Ma Danilo mi ha fatto pressione…indirettamente.»
    Annuii, felice che Red ne parlasse spontaneamente con me.
    «Se davvero parteciperò al Doppia B, voglio batterlo. Non mi importa se arriveremo terzi, secondi, o primi. I 4bidden non devono arrivare in finale, se sarò io il vostro chitarrista.»
    Sorrisi appena, vedendo che nonostante tutto lo spirito combattivo di Red c’era sempre in lui.
    «Ne vuoi parlare?» chiesi, a bassa voce. La mia voce si era ammorbidita, dopo la sua confessione.
    Red scosse la testa. «Non ora, ma grazie.»
    Cercò di sorridere. Ma non gli uscì il solito sorriso. Al suo posto, una più debole, più malinconico.
    Mi ripromisi di parlare con Danilo per dei chiarimenti. Ecco trovato l’argomento giusto per iniziare una conversazione con lui.


    Edited by … E l y … - 23/8/2010, 18:41
     
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  2. -•GoodNorthernMADAM«
     
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    CITAZIONE (R!ot girl; @ 23/8/2010, 17:57)
    (con riferimento profilo s'intende che devo mettere il link del mio profilo utente giusto?)

    Scusate se mi intrometto così nella Valutazione, fate finta che il mio commento non ci sia......sono qui solo per chiarire il dubbio.
    Si, Giuls....esattamente come hai fatto tu nel post. ;)
     
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  3. … E l y …
     
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    CITAZIONE
    Sono un tantinello lunghi, non uccidetemi xD

    Mi è balenata l'idea quando ho visto quant'era lungo! Comunque ecco i miei pareri:

    Tu hai scritto:
    CITAZIONE
    «Ti accompagno», annunciò, alla fine

    Poi quando però quando si scontra con Johnny che sta per dargli un pungo, suo padre dov'è?

    E ora, la grglia di valutazione!
    Grammatica: 9
    Personaggi: 10
    Punteggiatura: 10
    Valutazione totale: 9 e mezzo!
    Commento recensitrice: Il racconto è scorrevol, mi piace davvero tanto! Devi stare attenta a qualche ripetizione, per gli errori di battitura vabbè è normale. Sul resto mi piace davvero tanto, complimenti!!
     
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  4. R!ot girl;
     
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    *w* me gongola xD
    Wow, che bella recenzione!

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    «Ti accompagno», annunciò, alla fine

    Poi quando però quando si scontra con Johnny che sta per dargli un pungo, suo padre dov'è?

    Thai si è fermata indietro, intanto suo padre ha continuato a camminare verso la segreteria... per lo meno, era così che l'avevo concepito. Grazie per avermi fatto notare il particolare xD

    Le ripetizioni sono tanto frequenti? Gli errori pure? No perchè li odio da morire e siccome mi sfuggono sempre anche quando rileggo, vorrei sapere se sono un caso disperato! xD
     
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  5. … E l y …
     
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    Ma no per niente! Ripetizioni ce n'è sì e no due, tipo qui:
    CITAZIONE
    Era la primo piano del dormitorio. Era tutto spazioso e confortevole e tirai un sospiro di sollievo, visto che almeno la mia scelta era caduta su una scuola come si deve.

    Ma sinceramente non saprei nemmeno io come nn ripetere era...
    Gli errori di battitura ci sono più frequentemente ma capita spessissimo anche a me, per il resto secondo me è bellissimo, ci ho messo mezz'ora a leggerlo ma n'è valsa la pena!
     
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  6. R!ot girl;
     
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    Oddio grazie mille!!
    E nella citazione ho trovato anche un errore di battitura xD

     
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  7. … E l y …
     
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    Ah sì xD là invece di al ù.ù
     
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  8. R!ot girl;
     
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    Me la rileggerò con la lente d'ingrandimento e poi credo che proverò a postarla qui (spezzerò i capitoli, vista la lunghezza ^^")!
     
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  9. Yuube
     
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    Ora mi dò da fare anche io ragazze! Non assicuro di farcela per stasera causa *genitori che rompono*. Mi potrete capire, ne sono convinta! ^^ ma al più presto pubblicherò la recensione!
     
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  10. R!ot girl;
     
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    CITAZIONE (Yuube @ 23/8/2010, 19:26)
    Ora mi dò da fare anche io ragazze! Non assicuro di farcela per stasera causa *genitori che rompono*. Mi potrete capire, ne sono convinta! ^^ ma al più presto pubblico la recensione!

    Oh, come ti capisco!!! Fa con calma non preoccuparti^^
     
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  11. … E l y …
     
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    Non ti immagini quanto ti capisco io!
    CITAZIONE
    Stai sempre al pc, poi ti fanno male gli occhi, bla bla bla!

     
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  12. R!ot girl;
     
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    CITAZIONE (… E l y … @ 23/8/2010, 19:56)
    Non ti immagini quanto ti capisco io!
    CITAZIONE
    Stai sempre al pc, poi ti fanno male gli occhi, bla bla bla!

    Oddio quoto in pieno!!
     
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  13. Yuube
     
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    Oddio è quello che dicono a me xD ihih
     
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  14. Yuube
     
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    Eccomi eccomi eccomi finalmente xD Inizio dal primo capitolo! Diamine quanto sono lunghi ihih Non mi prendere per un'odiosa...leggo e appunto...per cui non so quante cose scriverò ^^ Ti ricordo che i miei sono solo consigli :) (e non sono per niente un'esperta,...per cui non prendertela se scrivo tanto ç.çxD Non sono nessuno ihih)


    CITAZIONE
    Io in un college.

    Non mi suona bene... è una frase senza verbo, forse l'avrai fatto apposta per far risaltare la cosa che può far ridere (come dice la protagonista) ma la trovo una frase da discorso parlato...

    CITAZIONE
    So essere difficile ed esigente.

    Potrebbe andare anche cosi ma io aggiungerei un di...''so di essere difficile ed esigente'' ^^

    CITAZIONE
    Anzi, non volevo che qualcuno mi vedesse in qui momenti.

    qui c'è un semplice errore di battitura ^^ ''quei''

    CITAZIONE
    La nuova mammina pensò bene di proibirmi di andare fuori e divertirmi in quello che amavo sempre di più.

    ?? non ho capito ...

    CITAZIONE
    Dagli alberi, sempre più fitti, constatai che il posto era immerso nel verde, e c’erano grandi campi di basket e di calcio, vicino a quel grande edificio, che doveva essere la scuola di per sé.

    metterei per farla suonare meglio ''che mi sembrò essere la scuola''.

    CITAZIONE
    Mio padre, a differenza di mia madre, o di me, era sempre stato un tipo emotivo. Fin troppo emotivo.

    Altra frase senza verbo ^^ Potrebbe andar meglio una virgola....
    ''[...]era sempre stato un tipo emotivo, fin troppo emotivo''

    CITAZIONE
    La mamma era completamente diversa, e non capisco perché dopo la sua morte ha dovuto per forza risposarsi.

    forse va meglio ''abbia''

    CITAZIONE
    Ma fino a quel momento, solo visi anonimi, che non dicevano nulla.

    Non mi chiamare odiosa ç.ç ma mi suona male... che ne dici di ''nessuno sembrava attirare la mia attenzione''?

    CITAZIONE
    La verità è che ero contenta che lui avesse di nuovo qualcuno. Tutte, ma non lei.

    Frase senza verbo xD Continuo ad appuntarlo...è sempre lo stesso lo vedo come un discorso parlato...
    consiglierei ''La verità è che ero contenta che lui avesse di nuovo qualcuno, ma mi sarebbero andate bene tutte, tranne lei''.

    CITAZIONE
    Era questa la mia condizione. Proposta respinta, purtroppo.

    Qui secondo me le frasi staccano un pò troppo. C'è la presa di coscienza che fa ''era questa la mia consizione'' che non anticipa ''proposta respinta, purtroppo'' riferita al fatto che non voleva giusto Reb in casa con il padre come nuova fidanzata...mi riguarderei il periodo...

    CITAZIONE
    «Ti accompagno», annunciò, alla fine.

    La virgola non va dopo annunciò ...^^

    CITAZIONE
    Il mio radar captò un segnale proprio dietro quei ragazzi. Il mio sguardo si posò su di un ragazzo.

    C'è una ripetizione ...va meglio '' il mio radar captò un segnale proprio dietro quei ragazzi e il mio sguardo ne notò uno di loro in particolare''.

    CITAZIONE
    Le miei orecchie non poterono fare a meno di sentire la conversazione.

    Aggiungerei ''loro'' ---> ''[..]sentire la loro conversazione''.

    CITAZIONE
    Non riuscii a sentire quello che bisbigliò all’inizio la ragazza, ma quando alzò la voce mi fu impossibile non sentire.

    Ripetizione.

    CITAZIONE
    «Già. Ma mai quanto te, Ele.»

    ''Già, ma mai quanto te [...]''

    CITAZIONE
    Andiamo bene, nemmeno qualche secondo qui dentro e già la prima figura di merda. Speriamo che non se n’è accorto nessuno…

    che non se ne sia

    CITAZIONE
    occhio nero il primo giorno di scuola. Un record.

    invece di mettere un punto va meglio una virgola... ''[...]scuola, un record.''.

    CITAZIONE
    Le solite regole, valide in ogni scuola. Ancora, ancora regole.

    è senza verbo.

    CITAZIONE
    «Vuoi una mano?» gli chiesi,

    le chiesi.

    CITAZIONE
    Poi c’è Johnny, Danilo, Edoardo e Matt, altro gruppo importante che…»

    ''poi ci sono...''

    CITAZIONE
    «E capirai! Preferirei non averlo conosciuto…A momenti ci stampava un pugno i faccia a tutti e due!»

    errore di battitura ''in''

    CITAZIONE
    Più volte ho annuito senza aver ben capito cosa avesse detto.

    ''annuii'' perchè è tutto al passato ^^

    CITAZIONE
    se non è chiaro,

    ''se non fosse chiaro''....

    CITAZIONE
    Non mi ero accorta di quanto fosse carino: i capelli un po’ spettinati, gli occhi verdi, ma camicia un po’ sbottonata e che metteva in risalto i pettorali.

    errore di battitura ''la''

    CITAZIONE
    Bene. Non desideravo altro.

    Bene, non desideravo altro.

    CITAZIONE
    Qualcuno bussò alla porta con insistenza. Red, Sicuramente.

    Qualcuno bussò alla porta con insistenza : Red, sicuramente.




    Ho provato ad essere il più precisa possibile. Spero di esserti d'aiuto Giulia ^^ Presto leggerò anche gli altri capitoli e posterò la recensione e la valutazione totale ^^ Ora non potrei farlo perchè sono a nemmeno metà dello scritto ^^.
    Comunque non sembra male! oddio, non posso dire ''bello'' o ''brutto'' perchè mi manca un pezzo...ma, mi piace l'idea della ragazza che descrive gli avvenimenti (il narratore interno mi attira sempre di più xD). La storia poi sembra davvero carina! Brava ;)
     
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  15. R!ot girl;
     
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    Kittie (ormai mi sono abituata a chiamarti così!) Ma io ti A-D-O-R-O!!!
    Tesoro, grazie mille per avermi fatto ntare tutti questi errori, così li correggo subito e so già dove trovarli!! Grazie, grazie grazie!!!
    E comunque le frasi senza verbo sono voute, perchè la storia è tutta incentrata su Thai e sui suoi pensieri, sensazioni, stati d'animo ecc.
    Ti sarà capitato almno una volta di dirti tra te e te: "tutte, ma non lei!". E poi questo è un pò il mio stile...
     
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17 replies since 23/8/2010, 16:57   147 views
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